Letter for the XX Anniversary of the Convention
ICH. Ritorno ai sogni
Ho pensato di condividere un sogno con voi. Il sogno di essere presente quel giorno, quei giorni, durante quegli incontri che portarono all’elaborazione e all’approvazione della definizione di patrimonio culturale immateriale che troviamo nell’articolo 2 della Convenzione. Il ritorno alle origini ha sempre grande fascino e una funzione. Quella di farci toccare più profondamente i significati delle vicende umane. Umanizzare una norma raccontando e ricordando la sua storia, ma anche contribuendo alla sua vita vissuta, permette di sentirsi parte, ciascuno di noi, di quella storia. Anche noi, tutti noi che oggi lavoriamo con questo straordinario strumento, quel giorno eravamo lì.
La Convenzione ha sicuramente cambiato la mia vita, e non solo quella professionale. Incontrandola, ho capito che era possibile e doveroso cambiare una visione del patrimonio culturale legata ai “luoghi della cultura”, monumenti, musei e paesaggi, oppure agli oggetti e alle grandi manifestazioni dell’ingegno umano, che mi ha sempre lasciato insoddisfatta, provocando in me una intima sofferenza e ribellione. Sono nata e cresciuto a Firenze, e ho potuto testimoniare dall’interno il dramma di un patrimonio culturale ridotto a oggetto di consumo, esternalizzato, staccato dalla quotidianità e dai sentimenti delle sue comunità, ma ancor peggio, arma potente nelle mani delle élites e strumento di distinzione sociale.
Il sogno delle origini si confonde nella mia memoria con il ricordo della prima volta in cui ho ascoltato la definizione di “patrimonio culturale immateriale” letta integralmente da un rappresentante della comunità alpina di Bessans, nella Savoia francese. Fuori nevicava, e quella persona si è espressa così (ricostruzione mia): “abbiamo diritto al nostro patrimonio, che in parte abbiamo perso come comunità, a causa delle guerre, delle frontiere, dei bombardamenti, ma anche e soprattutto a causa dei grandi cambiamenti di stili di vita e di mentalità. Ci hanno convinto che dovevamo partire, lasciare i nostri paesi di montagna per lavorare nelle fabbriche di fondovalle e nelle città. Ci siamo convinti che il passato dovesse restare tale. Abbiamo spinto nel passato la nostra identità, quella di una comunità di contadini, pastori e commercianti di montagna: il favoloso mondo dei nostri antenati. Ma non siete voi studiosi e ricercatori, con tutto il rispetto, che potete decidere cosa sia per noi il patrimonio. E ora vi leggo la definizione proposta dall’UNESCO, con una Convenzione che quest’anno (2007) è stata ratificata dalla Francia”.
Durante la sua lettura, sfilavano in quella sala le immagini di una antica collezione di oggetti e sculture in legno policromo, raccolti nei primi anni del 900 da un’antropologa austriaca di origini ebraiche, Eugénie Goldstern, conservati nel museo di etnografia di Vienna. La sua morte in un campo di concentramento durante la seconda guerra mondiale e la distruzione del villaggio di Bessans durante la ritirata dei tedeschi, ha infuso a quella lettura una grande e universale solennità. Ho capito allora che la definizione che di patrimonio è stata proposta dalla Convenzione, può diventare uno straordinario strumento di riscatto e cambiamento.
Come ricercatrice e antropologa, in Italia come in Francia e in altri paesi, ho continuato a soffrire del complesso egemonico che il patrimonio porta nelle sue fibre più profonde, che finiscono per allontanarlo dal quel concetto antropologico di cultura che la Convenzione ha invece adottato con la sua definizione. Il sogno di costruire una visione di patrimonio alternativa, inclusiva, umana e vicina alla vita quotidiana e alle più fondamentali espressioni culturali ha continuato ad animare la mia ricerca. Perché la definizione di patrimonio culturale immateriale lo riconduce verso la vita quotidiana, spingendo a considerare come prioritario il valore di quello che potremo definire il coraggio dei sentimenti. Spingendoci verso un esercizio di semplicità, umiltà, umanità.
Nel grande cantiere delle Convenzione, che frequento regolarmente dal 2009, oltre ai rappresentanti dei governi con le loro delegazioni ufficiali, si muove una comunità di pensiero e di azione, composta da ONG, ricercatori, esperti uniti da comuni passioni e convinzioni che con continuità ne seguono i lavori. Di questa diversificata e complessa comunità, il Forum delle ONG è la più forte ed auterovole espressione. Fare parte di questa comunità di lavoro è stato sempre per me un grande onore che si avvicina alla realizzazione di un sogno. Il sogno di uomini e donne di tutte le culture e le lingue che riescono a lavorare insieme, dialogano attraverso le distanze, seminano e coltivano una cultura della pace, portano avanti con coraggio il diritto di ognuno di noi ad essere rispettato nel proprio senso di identità e continuità.
Un diritto umano fondamentale, per poter contribuire, con dignità culturale e valori condivisi, al futuro della nostra umanità.
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ICH. Back to the dreams
Let me share a dream with you. The dream of being there on those days at the meetings that led to the discussion and approval of the definition of Intangible Cultural Heritage as we find it in the Article 2 of the Convention. Going back to the origins always has great charm and one clear function: making us touch more deeply the meanings of human events. Humanizing a norm by telling and remembering its story allows us to feel and be part, each one of us, of that very history and life. We too, all of us who work with this extraordinary tool today, were there that day.
The Convention has certainly changed my life, and not just professionally. Meeting her, I understood how it was possible and right to change a vision of cultural heritage linked to “places of culture”, monuments, museums, sites and landscapes, or to the objects and great manifestations of human genius, which has always left me dissatisfied, causing an intimate suffering and rebellion. I was born and raised in Florence where I could witness from the inside the fall of a cultural heritage reduced to an object of consumption, outsourced, detached from the daily life and feelings of its communities, but even worse, a weapon in the hands of the elites and a powerful tool of social distinction.
The dream of the origin’s merges in my mind with the memory of the first time I heard the definition of “Intangible Cultural Heritage” announced in full by a representative of the Alpine community of the village of Bessans, in the French Savoy. It was snowing outside, and that person expressed himself in this way (my reconstruction): “We have the right to our heritage, which we have partly lost as a community, due to wars, borders, bombings, but also and above all due to the great changes in lifestyles and mentalities. They convinced us that we had to leave, leave the country to go working in the factories at the bottom of the valley and in the towns. We convinced ourselves that the past had to remain in the past, we pushed our identity, that of a community, into the past of mountain farmers, shepherds and traders: the fabulous world of our ancestors. But it is not you scholars and researchers, with all due respect, who can decide what is heritage for us. And now I will read you the definition proposed by UNESCO, with a Convention which this year (2007) was ratified by France”.
During the time of his reading, images of an ancient collection of objects and sculptures in polychrome wood, collected in the early 1900s by an Austrian anthropologist of Jewish origins, Eugénie Goldstern, preserved in the Ethnography Museum in Vienna, paraded through that room. Her death in a concentration camp during the Second World War and the destruction of the village of Bessans during the German retreat gave that reading a great and universal solemnity. I understood then that the definition of heritage proposed by the Convention is and can become an extraordinary tool for social redemption and change.
As a researcher and anthropologist, in Italy as in France and other countries, I have been suffering from the hegemonic complex that heritage carries in its deepest fibers. The dream of building an alternative, inclusive, human vision of heritage close to everyday life and the most fundamental cultural expressions is constantly animate my research. The definition of intangible cultural heritage leads it back to everyday life, pushing us to consider the value of what we could define as the courage of feelings as a priority. Pushing us towards an exercise in simplicity, humility, humanity.
In the great arena of the Convention, which I have been regularly attended since 2009, beside government representatives with their official delegations, there is a large community of thought and action, made of community representatives, NGOs, researchers, experts united by common passions and beliefs who continuously follow the work. Of this diverse and complex community, the NGO Forum is the strongest and most authoritative expression.
Being part of this community has always been a great honor for me that comes close to making a dream reality. The dream of men and women of all cultures and languages who can work close together, dialogue across distances, sow and cultivate a culture of peace, courageously carry forward the right of each of us to be respected in our own sense of identity and continuity.
A fundamental human right, to be able to contribute, with cultural dignity and shared values, to the future of our humanity.
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Valentina Lapiccirella Zingari – Italy
Cultural Anthropologist, member of the Global network of ICH Facilitators and co-coordinator of the WG research of the ICH NGO Forum. Scientific coordinator of “Tocatì. A shared programme for the safeguarding of Traditional Games and Sports”, inscribed in the Register of Good Safeguarding Practices in 2022.
Accredited NGOs: SIMBDEA (Italian Society for Museum and Heritage Anthropology)
This letter is the result of 15 years of commitment (at different levels) for the implementation of the Convention (2009-2023)
Download PDF: Valentina Zingari – UNESCO ICH Global Facilitator – Letter_to_the_Convention_2023.pdf